MI SENTO MOBBIZZATA E TEMO UN LICENZIAMENTO. QUALI TUTELE?

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IL CASO

I DETTAGLI

Rita è occupata in un’azienda con 2 dipendenti oltre al titolare. Le è stata riconosciuta un’invalidità al 100% ma non si è mai iscritta alle categorie protette.

Da un po’ di tempo constata un atteggiamento ostile nei suoi confronti da parte del suo datore di lavoro, nonché proprietario dell’ufficio.

LA DOMANDA

Che tipo di tutele ho in caso di licenziamento? Ho diritti diversi rispetto alla collega? Come posso anticipare eventuali mosse e lettera di licenziamento?

RISPONDE L’AVVOCATO

Antonella Carbone bolloPremessa:

Il caso di Rita esula dalla materia strettamente riservata agli invalidi, e ha caratteristiche che riguardano tutti i lavoratori. Lo analizziamo sotto due aspetti:

  1. quello del cd. “mobbing” 
  2. quello dell’eventuale licenziamento determinato dalla riduzione dei ricavi aziendali. Vale a dire il licenziamento “per motivi economici” riconosciuto come licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

 

IL MOBBING

Va premesso che il “mobbing”, che già era riconosciuto ed indennizzato con difficoltà dai giudici, ha trovato ulteriori ostacoli al suo accertamento a seguito della sentenza n. 10037 del 2015. In questa sentenza, la Corte di Cassazione ha dichiarato che il lavoratore, per ottenere la dichiarazione di mobbing e quindi accedere al risarcimento, deve provare la sussistenza di 7 parametri:

  1. ambiente> le vessazioni devono avvenire sul luogo di lavoro
  2. durata> i contrasti, le mortificazioni o quant’altro devono durare per un congruo periodo di tempo
  3. frequenza> le vessazioni devono essere reiterate e molteplici
  4. tipo di azioni ostili> deve trattarsi di più azioni ostili, almeno due di queste: attacchi alla possibilità di comunicare, isolamento sistematico, cambiamenti delle mansioni lavorative, attacchi alla reputazione, violenze o minacce.
  5. dislivello tra antagonisti> ovvero l’inferiorità manifesta del ricorrente (cioè di chi subisce il mobbing)
  6. andamento per fasi successive come: conflitto mirato, inizio del mobbing , sintomi psicosomatici, errori e abusi, aggravamento della salute, esclusione dal mondo del lavoro
  7. intento persecutorio> cioè bisogna che vi sia un disegno premeditato per tormentare il dipendente.

Data la rigidità di questa sentenza, la Cassazione (sentenza n. 3291/2016) ha introdotto un nuovo concetto, quello del cd. “straining”. Cioè una particolare tipologia di mobbing attenuato. Consiste in una situazione costante di stress che si manifesta in azioni volte a dequalificare la persona coinvolta.

Altra ipotesi è quella dello “stress da lavoro correlato”. Vale a dire lo stato di disagio psico-fisico ingenerato da comportamenti del datore di lavoro.

 

In tutti questi casi, qualora venga dimostrato il nesso causale tra attività lavorativa e malattia insorta, il datore di lavoro è tenuto al risarcimento del danno.

IL LICENZIAMENTO PER MOTIVO ECONOMICO

Il licenziamento per motivo economico, invece, si ha quando il datore di lavoro decide di chiudere uno o più rapporti di lavoro a causa di un peggioramento delle condizioni economiche dell’azienda (ad esempio, in caso di una rilevante contrazione dei ricavi) in modo da conseguire un risparmio. In questo caso, se il lavoratore impugna il licenziamento, il datore di lavoro dovrà dimostrare l’esistenza dei motivi alla base del licenziamento.

In caso di licenziamento illegittimo il valore del risarcimento dipende dal numero di dipendenti dell’azienda:

  • per le imprese con più di 15  dipendenti (in regime di c.d. tutela reale) > il risarcimento varia da 6 a 12 mensilità della retribuzione globale di fatto (dopo l’avvento della legge Fornero nel 2012);
  • per le imprese che occupano meno di 15 dipendenti (in regime di c.d. tutela obbligatoria) il risarcimento varia da 2,5 a 6 mensilità di retribuzione, da quantificarsi in base all’anzianità lavorativa.

In ogni caso, in presenza di più dipendenti, se il datore di lavoro decida di licenziare solo uno oppure alcuni di essi, dovrà dimostrare di aver individuato il lavoratore da licenziare sulla base dei c.d. “criteri di scelta” (L.231/91in materia di licenziamenti collettivi ma applicabile a tutte le tipologie di licenziamento).

In base a questo principio il datore di lavoro, per individuare quale lavoratore possa essere licenziato rispetto ai suoi colleghi dovrà valutare: l’anzianità di servizio e i carichi di famiglia. In questo modo favorirà il lavoratore più debole, cioè quello che avrebbe maggiore svantaggio da un licenziamento.

 

IL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO

Nella situazione di Rita, poi, potrebbe ipotizzarsi anche il caso del licenziamento “discriminatorio”. Cioè dettato da motivi di:

  • età
  • sesso
  • religione
  • stato di salute
  • orientamento politico.

Questo tipo di licenziamento è sanzionato con particolare rigore dal nostro orientamento. Infatti in questo caso il licenziamento è ritenuto nullo e, se accertato, il lavoratore licenziato –anche se dipendente di azienda con meno di 15 dipendenti- avrà diritto:

  • a essere reintegrato nel posto di lavoro o all’indennità sostitutiva pari a 20 mensilità, a sua scelta
  • a tutte le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione.

 

Il consiglio a Rita

Concludendo, le consiglierei di mettere “le mani avanti” e di inviare alla sua datrice di lavoro una lettera in cui le contesta comportamenti illegittimi. Potrà servire quale prova in caso di licenziamento.


Avv. Antonella Carbone – Avvocato del lavoro

Ultimo aggiornamento 11/08/2017

 

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