CAREGIVER: QUELLA PAURA CHE TI FA SCAPPARE

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Questa parentesi è dedicata al caregiver, a chi è vicino a una persona cara, familiare o amico che si trova ad affrontare una diagnosi di tumore. L’obiettivo è fornire alcuni suggerimenti rispetto alle insicurezze e ai dubbi che inevitabilmente si presentano rispetto a come comportarsi con la persona cara.

CAREGIVER: TANTE EMOZIONI DA GESTIRE

Sempre più spesso capita che qualcuno a cui vogliamo bene si trovi ad affrontare una diagnosi di tumore. Li vediamo confrontarsi con le difficoltà che derivano dalla diagnosi, dalle terapie, e dai timori sull’andamento della malattia. Vorremmo essere utili, fornire supporto, ma non sempre questo ci riesce come avremmo pensato o voluto. Ad esempio, viviamo la paura che una cosa simile possa capitare anche a noi, e questo rende difficile stare vicino al familiare o a un caro amico che affronta questo momento. Oppure possiamo avere il timore di essere invadenti, di essere rifiutati, di non essere in grado di stare vicini nel modo “giusto”. Questo ci porta ad allontanarci per non correre il rischio di ferire o di essere feriti.

Spesso si viene quindi a creare una distanza e una difficoltà nel recuperare la naturalezza nel rapporto tra il caregiver e la persona che si è ammalata.

Come possiamo fare per continuare a coltivare la relazione con chi si trova ad affrontare una diagnosi di tumore?

Ecco alcune indicazioni e suggerimenti per i caregiver.

1. TUTTI POSSONO AVERE PAURA

Una delle emozioni più comuni davanti ad una diagnosi come quella oncologica è quella della paura. Paura del dolore, della malattia, di perdere i propri cari, della perdita di autonomia, paura della morte. È un’emozione universale (la condividiamo con tutti gli animali!) e non coinvolge solo chi si ammala, ma chiunque si confronti con l’invecchiamento e le malattie.

Spesso però il fatto di avere paura ci può far sentire in colpa o farci vergognare perché magari pensiamo di non essere autorizzati a provarla quando accanto a noi c’è qualcuno che si è ammalato!

Sono ormai numerosi gli studi che evidenziano come la diagnosi di una malattia oncologica abbia un notevole impatto psicologico non solo sul singolo individuo, ma più in generale sull’intero sistema familiare. Pazienti e caregiver mostrano livelli di ansia e depressione simili.

Un dato che può risultare inaspettato ai più è che spesso, dopo la fine dei trattamenti, sono i caregiver, e soprattutto le donne, ad avere più timore del ritorno della malattia rispetto a chi vive la malattia in prima persona.

RICORDA

Avere paura, anche se non siamo noi ad essere ammalati, non è un segno di debolezza o di egoismo: non esistono “diritti d’autore” su questa emozione.

2. ACCOGLI QUELLO CHE C’E’

Le emozioni primarie, come la paura, la rabbia o la tristezza sono sintomi che segnalano i nostri bisogni.

  • La paura ci segnala la necessità di proteggerci dai pericoli.
  • La rabbia ci avverte degli ostacoli per raggiungere qualcosa che desideriamo.
  • La tristezza ci parla della perdita.

Respingere i vissuti emotivi vuol dire negarci la possibilità di rispondere ai nostri bisogni primari. Non possiamo vivere senza provare emozioni. Possono andare e venire, possono essere più blande o più intense, ma non possiamo eliminarle.

RICORDA

Nel tentativo di opporci alle emozioni “scomode”, finiamo per perdere molte cose: relazioni, esperienze significative, aspetti importanti della nostra vita.

Per questo è importante imparare ad accogliere qualunque emozione che proviamo, senza giudicarla secondo i canoni di ciò che è giusto e sbagliato.

Frank Ostaseski, insegnante e direttore dello Zen Hospice Project di San Francisco e autore del libro “Cinque inviti”, spiega come la capacità di fare spazio anche alle emozioni più intense ci permetta di vivere la nostra vita più pienamente. Fare spazio alla paura ad esempio, familiarizzare con le sue espressioni (corporee, cognitive, comportamentali), osservarla con consapevolezza risveglia in noi la capacità di relazionarci con essa e di agire in maniera da superarla o affrontarla. Ci permette di vedere inoltre, che la paura non è l’unica cosa che c’è dentro di noi. Lo stesso vale con la rabbia e con la tristezza.

3. PROVA A COMUNICARE CIO’ CHE PROVI

Un altro dei fattori che può portare ad allontanarci è il timore di comunicare ciò che proviamo. Magari pensiamo che esprimendo i nostri dubbi, le nostre emozioni, i nostri timori possiamo allontanare o ferire il partner o la persona cara che si è ammalata. Questo però porta spesso a incomprensioni, attriti, ad acuire o a confermare le nostre paure.

Ciò che conta non è tanto quello che si dice, ma come lo diciamo, l’intenzione profonda che ci muove.

Per fare un esempio concreto, quando ci sono aree di difficoltà all’interno del matrimonio, legate ad una malattia oncologica la comunicazione aperta facilita l’assunzione di nuovi ruoli e riduce la tensione all’interno del rapporto.

RICORDA

Possiamo anche concederci di dirci che vorremmo esserci, fare qualcosa, ma che abbiamo paura, che siamo arrabbiati o tristi, ci sentiamo in imbarazzo e non sappiamo come fare. Se non abbiamo le idee chiare su ciò che ci accade o su come dire qualcosa possiamo sempre chiedere il supporto di un esperto.

4. È OK DIRE NO

Stare vicini a qualcuno che soffre non è semplice. Ogni individuo si confronta ogni giorno con un carico di preoccupazioni, impegni e difficoltà, e a volte non troviamo lo spazio per accogliere o essere di sostegno agli altri. Occuparsi di sé non è qualcosa di sbagliato o inappropriato. Siamo condizionati a pensare che la giusta attitudine sia il sacrificio e la negazione di sé, ma questa è una credenza che non porta risultati positivi, soprattutto nel lungo termine. Se neghiamo i nostri bisogni, è molto probabile che una parte di noi proverà tristezza, paura, rabbia, delusione. L’altro rischia così di diventare un ostacolo al nostro benessere, e questo andrà a influire sulla qualità della nostra relazione.

Per questo prendersi cura di sé non è egoismo, ma un atto di grande responsabilità e di protezione anche verso chi ci sta vicino.

RICORDA

Per aiutare qualcuno che sta affogando in mare dobbiamo in primo luogo riuscire a stare noi a galla. Allo stesso modo, nel ruolo del caregiver il primo passo per essere di supporto a qualcuno in difficoltà è essere noi in condizioni di sicurezza e di benessere.

Se sentiamo che qualcosa è troppo per noi in un certo momento, è importante legittimare questo limite, senza giudicarsi. Possiamo comunicare che in questo momento qualcosa va oltre le nostre possibilità, non il nostro volere, ma che ci saremo non appena ci sarà possibile.

5. CHIEDI

Un’altra credenza relativamente diffusa è quella che se ricopriamo un ruolo di aiuto o supporto verso una persona cara, dobbiamo essere noi a farci carico di tutto.  Se un parente o un amico sono in cura per un tumore, sono loro che dovrebbero chiedere supporto, noi dovremmo essere tra quelli che lo offrono.

Magari non ci sentiamo in diritto di chiedere, oppure non pensiamo di poter essere aiutati. Il risultato è che quando ci sentiamo impotenti davanti a qualcosa, quando si presenta una difficoltà che non sappiamo affrontare, lasciamo perdere tutto e ci allontaniamo.

In realtà, pensare di avere un unico ruolo ci toglie la possibilità di stare bene e di avere relazioni piene. Quando non sappiamo o non riusciamo a fare qualcosa possiamo osservare intorno a noi chi può avere le competenze o le capacità che noi in quel momento non abbiamo. Se un altro caregiver riesce a gestire meglio alcuni aspetti, possiamo lasciare spazio a quella persona e occuparci di aspetti con cui ci sentiamo più a nostro agio. Oppure possiamo chiedere supporto per capire quali sono effettivamente le nostre difficoltà e come affrontarle. Tutti noi abbiamo limiti e nessuno di noi è esperto o abile in tutto allo stesso modo. Praticare l’accettazione anche delle nostre aree di difficoltà apre lo spazio per superarle o per viverle in maniera diversa.


Chiara Renzi – PhD, Psicologa e Psicoterapeuta. Puoi contattarla su Mindwork

 

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